La 18esima Mostra Internazionale di Architettura è all’insegna della transizione ecologica di luoghi e spazi d’arte. Sarà aperta al pubblico fino al 26 novembre ai Giardini, all’Arsenale e a Forte Marghera
Trasformazione. È il concetto centrale che permea la Biennale di Architettura di Venezia organizzata in questa 18esima edizione da Lesley Lokko, insegnante, fondatrice e direttrice dell’African Futures Institute in Ghana. Intitolata The Laboratory of the Future, la 18esima Esposizione Internazionale dedicata all’architettura pone uno sguardo privilegiato sul tema “Musei, Sostenibilità e Benessere”, affinché gli spazi dedicati all’arte siano di importanza cruciale per il benessere e lo sviluppo sostenibile delle comunità.
Composta di sei sezioni totali, la Biennale di Architettura 2023 conta in tutto 89 partecipanti, di cui più della metà proviene dall’Africa o dalla diaspora africana. Di fatti, per la prima volta, i riflettori sono puntati sull’Africa e sulla sua diaspora. In particolare, si affronteranno i temi della decolonizzazione e decarbonizzazione puntando i riflettori sul continente africano. Ma son solo. La 18edizione della grande manifestazione lagunare sarà l’occasione per sperimentare un percorso per il raggiungimento della neutralità carbonica per contrastare il cambiamento climatico – impegno, tra l’altro, che è già stato preso dalla Biennale per tutte le manifestazioni, compresa la Mostra Internazionale del Cinema.
“Che cosa vogliamo dire? In che modo ciò che diremo cambierà qualcosa? E, aspetto forse più importante di tutti, quello che diremo noi come influenzerà e coinvolgerà ciò che dicono gli “altri”, rendendo la Mostra non tanto una storia unica, ma un insieme di racconti in grado di riflettere l’affascinante, splendido caleidoscopio di idee, contesti, aspirazioni e significati che ogni voce esprime in risposta ai problemi del proprio tempo?” hanno dichiarato la curatrice, Lesley Lokko.

Per quanto concerne le emissioni, l’obiettivo della Biennale consisteva nell’eliminare completamente l’uso del carbonio, agendo su due fronti: minimizzando le emissioni organizzando tutti gli eventi in linea con i principi della sostenibilità ecologica e neutralizzando quelle residue attraverso l’acquisto di crediti di carbonio approvati sia in India che in Colombia. Un cambiamento che coinvolge tutti i soggetti coinvolti, dai fornitori al pubblico. Le principali azioni intraprese includono l’utilizzo di energia proveniente da fonti rinnovabili, la riduzione dei materiali e il loro riciclo, il riutilizzo delle attrezzature e degli allestimenti, l’inclusione di piatti vegetariani e di prodotti a chilometro zero nell’offerta di ristorazione e l’ottimizzazione della logistica per ridurre i tempi di trasporto. Tuttavia, poiché Venezia è una delle principali destinazioni turistiche e la mobilità rappresenta la componente più significativa dell’impronta di carbonio, non possiamo restare indifferenti. Sarà quindi effettuata un’opera di sensibilizzazione anche sui visitatori, fornendo informazioni su percorsi per ridurre i tempi di viaggio.

“È stato chiaro fin dal principio che The Laboratory of the Future avrebbe adottato come suo gesto essenziale il ‘cambiamento’, rendendo la mostra un insieme di racconti in grado di riflettere lo splendido caleidoscopio di idee, aspirazioni, contesti” ha specificato la Lokko.
Ma i temi dell’ambiente, del clima e delle conseguenze che l’emergenza posta dal cambiamento climatico avrà sul nostro futuro si ritrovano in quasi tutti i padiglioni dell’esposizione. Il padiglione dell’Argentina all’Arsenale, ad esempio, si intitola “El Futuro del Agua”, mentre quello della Corea “2086: Together How?”, ad evocare una rivoluzione eco-industriale. La Danimarca, invece, con il suo padiglione “Coastal Imaginaries”, ci offre la sua visione su come affrontare i grandi problemi ecologici legati alle coste. Ogni padiglione offre spunti di riflessione e suggestioni uniche. Il Brasile è particolarmente chiaro nel suo messaggio. Il suo padiglione, “Earth”, parla delle popolazioni e dei loro territori, evidenziando l’importanza di una gestione sostenibile delle risorse naturali; il Belgio, infine, con il padiglione “In Vivo”, invita a una riflessione su come l’architettura possa adattarsi e trovare soluzioni innovative di fronte alla scarsità di risorse.

In generale, i padiglioni dell’esposizione offrono una varietà di prospettive e approcci per affrontare le sfide ambientali e climatiche che affrontiamo. Rappresentano un invito a considerare la nostra relazione con l’ambiente naturale e a lavorare insieme per un futuro più sostenibile. Il cuore di ogni progetto? L’immaginazione, poiché, secondo la curatrice, è impossibile costruire un mondo migliore se prima non lo si immagina.

“The Laboratory of the Future inizia nel Padiglione Centrale ai Giardini, dove sono stati riuniti 16 studi che rappresentano un distillato di Force Majeure (Forza Maggiore) della produzione architettonica africana e diasporica. Si sposta poi nel complesso dell’Arsenale, con la sezione Dangerous Liaisons (Relazioni Pericolose) – presente anche a Forte Marghera, a Mestre – affiancata a quella dei Progetti Speciali della Curatrice, che per la prima volta è una categoria vasta quanto le altre. In entrambi gli spazi sono presenti opere di giovani “practitioner” africani e diasporici, i Guests from the Future (Ospiti dal Futuro), il cui lavoro si confronta direttamente con i due temi della Mostra, la decolonizzazione e la decarbonizzazione, fornendo un’istantanea delle pratiche e delle modalità future di vedere e di stare al mondo. (…) Abbiamo espressamente scelto di qualificare i partecipanti come “practitioner” – ha chiarito la Curatrice – e non come “architetti”, “urbanisti”, “designer”, “architetti del paesaggio”, “ingegneri” o “accademici”, perché riteniamo che le condizioni dense e complesse dell’Africa e di un mondo in rapida ibridazione richiedano una comprensione diversa e più ampia del termine “architetto”.

In anteprima: La Biennale di Architettura 2023 Ph. Filippo Romano