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C’è un legame tra anatomia e scrittura nell’antichità, tra dissezione e testo, coltello e stilo. Ed è un legame che ci fa ripercorrere la storia della domesticazione e della definizione del concetto di “uomo”

«Gli allievi apprendevano, fin dall’infanzia, a sezionare, così come a leggere e a scrivere. Gli antichi si esercitavano a sufficienza nell’anatomia, e non solo i medici, ma anche i filosofi. Non c’era motivo di temere che venissero dimenticati i procedimenti di dissezione appresi fin dall’infanzia come l’arte della scrittura». È il medico Galeno, nel secondo secolo dopo Cristo, a esprimersi così, giustificando a suo modo la mancanza di trattati anatomici nell’antichità, contribuendo a creare – con pieno anacronismo – l’idea fittizia che la medicina ippocratica fosse in qualche modo dipendente dall’anatomia; per Galeno, era divenuto impossibile pensare a una medicina staccata dalla dissezione, da un sapere scientifico che non affondasse il proprio sguardo nel corpo spalancato delle pure evidenze, per sviscerarle come un qualunque trattato.

A partire da questa vicinanza tra anatomia e scrittura, cadavere e trattato, Mario Vegetti ha scritto nel 1979 un saggio la cui indagine è già tutta contenuta nel titolo: Il coltello e lo stilo. Se per Vegetti lo sguardo dei medici ippocratici indugiava ancora sull’uomo in quanto soggetto vivo, cercando di decifrarne i segni, la mistura di escrementi e umori rivelatori dei malanni, con gli alessandrini – – come Erofilo ed Erasistrato – e poi con Galeno «il paziente vivo è indagato come se fosse un cadavere», che bisogna aprire; «di qui il primato, per tutta la medicina “dogmatica” o “razionale”, dell’anatomo-fisiologia patologica sulla semiologia medica». Galeno, a cui l’ambiente romano impediva di fatto la pratica della dissezione sugli uomini che era stata «assai facile ad Alessandria», ricorreva, stando ai suoi racconti, ai cadaveri risputati dalle tombe aperte, a quelli disseppelliti, oppure – più semplicemente – ad animali ritenuti simili all’uomo, come la scimmia.

La zootomia restava dunque il «fondamento della teoria medica», e agli occhi di Galeno occhi chiunque s’ostinasse a rimanere nel solco della tradizione ippocratica, lontano cioè dalle necessità della dissezione, veniva presto considerato un ciarlatano. Così, arrivando a fondare il proprio dominio sull’apparente evidenza dell’anatomia, la medicina incominciò ad aprire il corpo umano alla stessa sorte già incontrata dal corpo animale: entrambi avevano bisogno di essere spalancati, sezionati, classificati in ogni minima parte; «se per i pitagorici l’animale era un tabù, se i medici ippocratici ancora esitavano di fronte alla sua dissezione», con la scuola di Alessandria è «il turno del cadavere umano a farsi oggetto del metodo»; metodo che Galeno tratterà poi come metodo di studio in generale, come “pura teoria” tanto agognata. Per lui, infatti, le ragioni dell’anatomia sorpassano il solo campo del sapere medico, diventano meccanismi di tenace apprensione del mondo, utili ai filosofi «sia in virtù della pura teoria, sia per insegnare l’arte della natura all’opera in ogni parte del corpo» (PA II 2, K II 286s.).

L’assimilazione del corpo al testo, il farne uso per lo scavo filosofico, va però certamente rintracciata prima di Galeno. Aristotele, nell’analizzare la struttura del corpo animale, scrive infatti: «tre sono i livelli di composizione (synthesis). Come prima si potrebbe porre la composizione risultante da quelli che alcuni chiamano elementi (stoicheia), cioè la terra, l’aria, l’acqua e il fuoco; ancor meglio sarebbe forse parlare della composizione come risultante dalle qualità… infatti il fluido, il solido, il caldo e il freddo sono la materia dei corpi composti. La seconda composizione (systasis), risultante dagli elementi primi, costituisce negli animali la natura delle parti omogenee, come l’osso, la carne e le altre dello stesso genere. Terza e ultima della serie è poi la composizione delle parti non omogenee, come il viso, la mano e le altre simili» (PA II 1). Synthesis, stoicheia, systasis: questa triade sintetizza l’assorbimento del corpo animale nell’economia testuale – economia che spolpa le carni vive, le disgrega per ridurle a limpidi oggetti d’indagine. Esplicita Vegetti che stoicheion «significa, com’è noto, la lettera dell’alfabeto la cui composizione genera sillabe e parole; sappiamo dalla Poetica che Aristotele definisce il linguaggio della tragedia come la composizione (synthesis) dei versi, e che systasis indica la struttura del racconto e del testo tragico»; il corpo dell’animale «è dunque come un testo, in cui le lettere danno luogo a diversi livelli di aggregazione», e «non sorprende certo che sia proprio Aristotele a consolidare questo punto di vista», segnando «l’avvento di uno sguardo che fa del corpo un testo predisposto alla lettura».

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