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Dall’artista ribelle alla sacerdotessa della musica: il viaggio di Sinéad O’Connor

Non esiste niente che racconti Sinéad O’Connor, o che le renda giustizia più della sua musica e delle sue interpretazioni. Del resto, l’artista stessa afferma: «quello che devo dire lo dico nelle canzoni». Spesso la stampa internazionale, alla ricerca del sensazionalismo, ha speculato sulle sue dichiarazioni scomode, sui suoi gesti estremi, provocatori e discutibili. Uno su tutti il famigerato episodio della fotografia del papa da lei strappata sul finale di un’esibizione in diretta tv al Saturday Night Live (1992) al grido di: «Noi confidiamo nella vittoria del bene sul male. Combatti il vero nemico!». Gesto emblematico di protesta contro gli abusi della chiesa cattolica, rispetto alla quale ha sempre nutrito una certa ostilità, soprattutto per la posizione di ingerenza e di oppressione che ha giocato nel suo paese di origine, l’Irlanda.

Non si può negare che i suoi atteggiamenti, a volte ingenui, altre impulsivi, ne abbiano minato il percorso artistico. Persino la scelta coraggiosa di mostrarsi con la testa rasata è stata oggetto di scherno, di osservazioni infelici e fuori luogo in più occasioni. Con le sue affermazioni, le prese di posizione e il rifiuto dei compromessi in certi contesti – come quello di non lasciar cantare l’inno nazionale americano prima di un suo concerto al Garden State Arts Center, New Jersey – si è esposta a forti giudizi da parte del mondo circostante, al punto che il sistema musicale, di cui tanto desiderava far parte, le si è ritorto contro. […]

Nonostante i detrattori, Sinéad non si mai è scoraggiata, ha fornito spiegazioni, risposto a tono, ritrattato posizioni, taciuto. Tra mille difficoltà ha tirato dritto per la sua strada, trovando la forza di non arrendersi nei momenti più disperati grazie anche alla sua profonda spiritualità e a una spiccata fede nel divino, che l’ha salvata più di una volta.

Sinéad Marie Bernadette O’ Connor nasce l’8 dicembre 1966, terza di quattro figli. A partire da questa data di nascita e dal nome, vale la pena soffermarsi sulle parole del traduttore Antonio Vivaldi: «Nascere il giorno dell’Immacolata Concezione e venire battezzata Sinéad Marie Bernadette è, anche per chi a certe cose non crede, un segno del destino. In quei tre nomi c’è già, infatti, tutta la Sinéad O’Connor degli anni a venire: la riaffermazione della diversità gaelica, l’aspirazione a un’impossibile purezza virginale, la trasfigurazione visionaria delle proprie vicende personali». E, forse, anche qualcosa di più.

Il padre di Sinéad, John, è un ingegnere votato alla legge, la madre Marie è una sarta; si sono sposati giovanissimi e sono scontenti del loro matrimonio. Se solo l’Irlanda fosse stato un paese meno oppressivo e favorevole al divorzio, gli O’Connor si sarebbero risparmiati molte delle sofferenze di quegli anni, dovute soprattutto all’infelicità di entrambi i coniugi, stipati in una relazione senza speranze. La forzata convivenza, unita a un’adesione materna quasi ossessiva al cattolicesimo incide inevitabilmente sull’atmosfera famigliare soffocante, a tratti violenta. Finalmente nel 1975 Marie e John riescono a separarsi e la piccola Sinéad trascorre i primi anni della separazione dei genitori con la madre. Il loro è un rapporto complicato: l’artista ricorda quella fase come un periodo buio, durante il quale subisce gravi maltrattamenti da parte di Marie, profondamente instabile e infelice, anche perché impossibilitata a rifarsi una vera vita. Soltanto in seguito sarà considerata dalla figlia stessa una vittima del sistema sociale irlandese.

Dopo cinque anni di tormenti, violenze e frustrazioni dovute al rapporto con la mamma, la giovanissima Sinéad si stabilisce dal padre e dirada sempre di più gli incontri con lei. Le esperienze dell’infanzia, il complicato e sofferto rapporto materno, incidono in modo indelebile sulla sua personalità, sulle scelte e sulla sua musica. Durante l’adolescenza manifesta atteggiamenti difficili e comportamenti a rischio (piccoli furti, troppe assenze scolastiche). Preoccupato John compie alcuni tentativi presso diverse strutture di recupero per contenere la vivacità della figlia. Nella speranza diventi più disciplinata arriva a farla stabilire alla Newton School di Waterford. Per Sinéad sono anni complicati, ma fondamentali, durante i quali si rende conto di trovare conforto nel suonare e si forma in lei una vera coscienza musicale. Un’insegnante, riconoscendole un grande talento, le chiede di cantare al suo matrimonio, fornendo l’occasione per l’incontro con il fratello Paul Byrne, batterista degli In Tua Nua. Con questo gruppo ha inizio l’avventura di O’Connor nel mondo della musica.

L’artista contribuisce al loro primo singolo, Take My Hand, e per qualche tempo collabora con la band. Vedendola appassionata e motivata il padre la incita a studiare musica, così per un breve periodo Sinéad frequenta il College of Music di Dublino. Nell’estate 1984 inizia la parentesi nei Ton Ton Macoute, grazie ai quali entra in contatto col fondatore dell’etichetta Ensign Records, Nigel Grainge. Colpito dalla presenza scenica e dall’intensità di Sinéad, oltre che dalla sua audacia, Grainge decide di darle un’occasione. Di lì a poco O’Connor volerà a Londra per tentare la carta della carriera discografica da solista e, proprio con la Ensign Records, ottiene il suo primo contratto.

Nel suo bagaglio ci sono già alcuni dei brani del primo disco che dedicherà alla madre, Marie O’Connor, scomparsa nel 1985 a causa di un incidente stradale. L’accaduto sconvolge non poco Sinéad, la induce a fare riflessioni importanti sul suo vissuto, a guardare con altri occhi la figura materna, fino a tornare a sentirne la presenza quasi palpabile al suo fianco. La morte della madre la riavvicina alla fede religiosa e rappresenta una spinta ulteriore a lasciare l’Irlanda.

Gli anni in Inghilterra si rivelano fondamentali anche per gli incontri: quello con il discusso manager Fachtna O’Ceallaigh, che decide di credere ciecamente in Sinéad, nel suo potenziale artistico e l’incontro con il futuro marito e padre di suo figlio John Reynolds, reclutato in qualità di batterista per l’album di esordio. In breve, la vita si stravolge. Durante i primi tempi della relazione con Reynolds resta incinta. Nonostante qualche tentativo da parte dell’entourage discografico e dello stesso John di indurla a considerare l’aborto decide di tenere il bambino.
Sinéad registra la versione definitiva del disco durante gli ultimi mesi di gravidanza, e a soli 21 anni si trova a dare alla luce il suo primo album The Lion And The Cobra (1987) e il primo figlio, Jake Reynolds. Il disco, considerato dalla critica un esordio fulminante, mette subito al centro i temi principali della poetica dell’artista legati alla religiosità, ai tormenti derivati dalla sua infanzia, alla sua intima e nuda sofferenza. Il pezzo di apertura, Jakie, è un canto sulla perdita, etereo e allo stesso tempo terreno, su cui si innesta qualcosa di poeticamente spettrale ed epico.

Continua a leggere l’articolo su L’Indiscreto.



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