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Nella cultura contemporanea del nostro Paese la presenza di Leopardi è una vera e propria costante. Costanza D’Elia l’ha definita la “Linea Leopardi”. Per esempio, qual era il rapporto tra Gadda e Leopardi?

Cercare le tracce di Leopardi in un autore che è caratterizzato dalla propensione al pastiche (e che, da ‘gran lombardo’, nelle geografie letterarie italiane intrattiene un rapporto stretto con Manzoni, Parini, Virgilio), significa prelevare i numerosi echi testuali contando sulla fortuna del rabdomante. Due dimensioni extraletterarie però possiamo cogliere nella relazione di Gadda con Leopardi: quella della legittimazione autobiografica, nei forti paralleli fra le rispettive tristissime situazioni familiari, che consentono a Gadda di trovare ‘le parole per dirlo’ superando la vergogna; e quella del confronto fra le posizioni filosofiche, accomunate dal rifiuto di ogni metafisica in nome di una presa d’atto della realtà a partire dall’io.

Su questo piano possiamo cercare una ‘funzione Leopardi’ all’interno della ‘funzione Gadda’, utilizzare Leopardi come reagente teoretico sulla base della comune centralità della speculazione filosofica. Di fronte a Leopardi, come vedremo, Gadda rivela la radicalità del proprio nichilismo. Nessuno meno di Gadda fu incline all’autobiografia, spregiatore – ossessivo, come in tante sue cose – del ritratto e dell’autoritratto («l’io, io!.. il più lurido di tutti i pronomi!»); nessuno più di Gadda ha parlato di sé e del suo sé nascosto in maniera così diretta, spietata, e piena di scrupoli, usando la letteratura come un confessionale della disperazione, dove ci si accusa degli atti più indicibili perché totale sia il perdono, ma al tempo stesso non si nutre per sé e per il mondo alcuna speranza di salvezza.

Io ci aggiunsi, all’eredità biologica ricevuta, l’orrore delle immagini e dei dipinti che dipingono il non dipingibile: in modo particolare l’orrore della mia immagine, iconoclasta o almeno autoiconoclasta assoluto, teoretico e pratico.

Questo rifiuto dell’autobiografia, che include la negazione della sua possibilità, è il punto focale di una intervista mai pubblicata (destinata un giornale di larga diffusione, «Oggi»), dedicata al Ricordo di mia madre. Contiene, anzi esibisce un paradosso questa affermazione che contraddice se stessa: l’indicibilità di sé produce la necessità di dirsi; si tratta di una inconfessabilità che richiede un tipo particolare di scrittura, sperimentata a partire dalla Cognizione del dolore. Qui Gadda, che non esitava a comporre racconti con personaggi che hanno il suo nome, produce una galleria di figure indicate con termini spagnoleggianti sullo scenario di una geografia fantastica e di una toponomastica sudamericana e insieme manzoniana.

Sotto le mentite spoglie di Gonzalo, Gadda consegna uno scritto totalmente autobiografico, tanto più vero quanto più mette in atto non solo gli eventi della vita ma le nevrosi e quelli che con termine tecnico si chiamano ‘pensieri coatti’, fantasie tormentose insorgenti contro la volontà del soggetto. Gadda infatti si blocca quando deve arrivare alla scena culminante, quella dell’assassinio della vecchia madre da parte del figlio, che nella versione finale (infiniti i suoi rimaneggiamenti, incompiuti i testi) è solo allusa. Ma intanto dei pensieri coatti conosce anche il termine, e ne chiarisce con precisione l’eziologia nella nevrosi e nella colpevolizzazione, nello inconfessabile «strazio della miserevole biografia», usando, in più di un passo della Cognizione, l’espressione «male oscuro» che avrebbe conosciuto una seconda vita nel fortunato romanzo di Giuseppe Berto:

Un sentimento non pio, e si sarebbe detto un rancore profondo, lontanissimo, s’era andato ingigantendo nell’animo del figliolo: quel solo che ancora le appariva, talvolta, all’incontro, sorridendole […] questa perturbazione dolorosa, più forte di ogni istanza moderatrice del volere, pareva riuscire alle occasioni e ai pretesti di una zona profonda, inespiabile, di celate verità: da uno strazio senza confessione.

Continua a leggere l’articolo su L’Indiscreto.



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