Attraverso un’analisi della realtà virtuale, Nicholas Mirzoeff spiega come e perché i mezzi di comunicazione basati sulla dimensione visuale hanno assunto un ruolo così centrale nella nostra vita quotidiana.
È stato con l’avvento della televisione che la virtualità è diventata globale. Come ha detto Timothy Leary: “La maggior parte degli americani ha vissuto nella Realtà Virtuale da quando si è diffusa la televisione. Il cyberspazio non farà altro che rendere questa esperienza interattiva, invece che passiva” (Friedberg 1993).
Gli aspetti virtuali e visivi della televisione sono stati molto sminuiti da critici che sostengono sia poco più di una radio con le immagini (Morley 1992). Questa definizione può descrivere in modo appropriato l’epoca di maggiore prosperità del network televisivo, quando la televisione offriva una rappresentazione del mondo diretta, “realistica”. A quell’epoca (1945-75), la televisione era costituita da pochi canali nazionali, che spesso trasmettevano solo nelle ore serali. Il suo spazio visivo standard era il comune proscenio usato nel teatro, in cui è come se il pubblico vedesse l’azione attraverso un arco creato rimuovendo la quarta parete di una stanza. Mantenendo questa illusione, in spettacoli come Dragnet o Dixon of Dock Green, i narratori si rivolgevano direttamente al pubblico all’inizio e alla fine di ogni episodio, prendendo il posto di prologhi ed epiloghi teatrali nel segnare la divisione tra realtà e sospensione dell’incredulità.
Ma nell’era frammentata del “narrow-casting”, creato dalla televisione via cavo, digitale e satellitare, le emittenti si basano sempre più sullo stile visivo per attrarre e mantenere spettatori, che fanno zapping da un canale all’altro senza sentire l’audio, cercando un programma, o una frazione di programma, che li attragga (Caldwell 1995). I network televisivi hanno risposto agli stili alternativi adottati da emittenti via cavo, come MTV (Music Television), VH1 e BET (Black Entertainment Television) sviluppando un proprio stile visivo di tipo cinematografico, incrementando i costi di produzione e aumentando gli effetti speciali. Le serie di telefilm degli anni Ottanta e Novanta come Miami Vice, Thirthysomething, NYPD Blue e ER sono apprezzate non solo per gli introiti che hanno procurato, ma per un senso di “qualità” superiore che conferiscono ai network televisivi. In realtà, l’indice d’ascolto di Thirthysomething era spesso inferiore al 15 per cento agli inizi degli anni Ottanta, ben al di sotto del livello che potrebbe giustificare i sui altissimi costi di produzione.
Nel 1997, i produttori di ER firmarono un accordo che rese letteralmente impossibile per NBC trarre guadagno dagli spot pubblicitari venduti in quell’ora. Si era calcolato piuttosto che ER ancorasse la serata centrale del giovedì al “bisogna vedere la tv”, tenendo gli spettatori sintonizzati su NBC per tutta la serata. D’altro canto, la miniserie del 1998 Merlin fece ottenere a NBC un indice d’ascolto che non era mai stato raggiunto da un programma simile dall’avvento del servizio via cavo nel 1984. Il produttore Robert Halmi Sr. spese più di 30 milioni di dollari per la serie, che offre più di 500 effetti speciali, cifre che, fino a poco tempo fa, sarebbero state investite solo per un film (“New York Times”). Proprio come Hollywood usa il richiamo visivo degli effetti speciali per far sì che le persone vadano al cinema, piuttosto che noleggiare videocassette, così anche i network televisivi hanno optato per la spettacolarità visiva per mantenere terreno nei confronti delle emittenti via cavo in continua crescita.

La trasformazione dello stile visivo non è semplicemente estetica, ma implica un tipo diverso di pubblico televisivo, più coinvolto quando guarda attivamente e, allo stesso tempo, più incline alla distrazione. Questo cambiamento può essere colto nel rimaneggiamento di uno dei generi più caratteristici della televisione, l’access television, in cui le telecamere entrano in luoghi a cui il pubblico normalmente non potrebbe avere accesso. La vita quotidiana come spettacolo televisivo fu uno sviluppo fondamentale della televisione degli anni Settanta, con la serie americana An American Family (1973) e la britannica The Family (1974) che proponevano documentari di vita quotidiana in presa diretta. I registi di entrambe le serie cercarono di rendere la presenza delle telecamere così naturale per le famiglie coinvolte, che la loro vita di tutti i giorni sarebbe continuata normalmente sotto lo sguardo affascinato dello spettatore.
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Virtual Reality Experience, Zara Hadid