Le conseguenze dell’arrivo dell’intelligenza artificiale nell’arte sono tantissime. Ma ce n’è una di cui si parla troppo poco: l’impatto sulla narrativa
L’arrivo, già in fase beta, di software come Midjourney e DALL-E, capaci di trasformare input testuali in immagini, ha solleticato fantasie e preoccupazioni. Sono fioccati articoli e approfondimenti, pubblico e utenti si sono schierati spesso su posizioni contrastanti, alimentando alle volte dicerie infondate e spendendosi in santificazioni affrettate – come ogni volta che compare qualcosa di nuovo. Di potenzialmente rivoluzionario. Perché in effetti la possibilità fornita da questi software, al di là della resa grafica e del valore artistico del prodotto ottenuto, è incredibile: permette letteralmente a chiunque di creare immagini a partire dalla parola. Senza dover aver alcuna capacità artistica particolare, nessuna sensibilità, nessun diploma di Belle Arti. Basta scrivere.
Inserire un prompt – linguaggio inutilmente informatico per definire una frase descrittiva – e via. Il software restituisce l’immagine. Tutto ciò che si pensa e che si riesce a trasformare in parola può essere riconvertito in linee, colori, forme. Con una varietà di stili e tecniche che è impressionante. Di fronte a tale possibilità è legittimata sia la paura di chi grida alla fine del mondo sia l’entusiasmo di chi aspetta il nuovo mondo. Nessuno è rimasto indifferente alle prime immagini circolate su internet, in molti hanno spinto per essere ammessi come beta tester, in tanti hanno già creato un account ora che i software iniziano a girare nelle loro forme più complete – dotate persino di uno, due, tre o quattro aggiornamenti e presenti in diverse versioni.
Curiosità persino in uno come me che non saprebbe disegnare un albero, che non ha mai lavorato neppure su Paint, che non distingue .jpeg da .png (no, ora mi sono informato ma solo perché volevo essere sicuro vi fosse realmente una differenza prima di scrivere una sciocchezza). Le riflessioni che si potrebbero fare sono molte, forse troppe, ma da parte mia ho un vantaggio: non disegno, non lavoro con la grafica, non sono un critico d’arte, non credo nella superiorità morale di ciò che è creativo. Posso permettermi di limitare il campo solo a ciò che mi interessa: i libri. Quindi in questa sede non ci invischieremo nella diatriba etica su plagio, diritto d’autore, filtri violenza o nudità e neppure sul valore artistico, più o meno riconosciuto, di tali software ma ne valuteremo le potenzialità in ambito letterario. Potenzialità e possibili conseguenze, analizzando ciò che è già stato, ciò che sta succedendo e ciò che potrebbe succedere.
A un primo sguardo le possibilità in ambito editoriale sono due: in un caso produrre immagini che potrebbero entrare a far parte del libro, nell’altro invece supportare l’autore durante la stesura dello stesso. È abbastanza evidente che le copertine potrebbero essere realizzare dando in pasto al software frasi caratteristiche, parole chiave, materiale che gli uffici commerciali utilizzano già per vendere il libro. Uno strumento utilissimo nelle mani dei grafici o degli stessi autori che potrebbero sbizzarrirsi in un tentativo dopo l’altro. Così lo stesso per le illustrazioni. Un autore, magari con una certa sensibilità estetica ma scarse capacità nel disegno, potrebbe illustrare autonomamente il suo testo senza dover ricorrere a un illustratore. Giusto? Sbagliato? Non facciamone un giudizio di merito. Si osservi solo la possibilità: un autore potrebbe fare tutto da sé, consegnando un romanzo con decine di illustrazioni. Il software è talmente veloce nella realizzazione che è più il tempo che si spende a inserire le descrizioni che quello utilizzato dall’IA per restituire l’immagine. Meglio sarebbe, questo per alzare il livello qualitativo del materiale prodotto, che l’autore abbia una qualche competenza. Che fosse pittore o illustratore, magari persino dilettante o allo sbaraglio, un po’ come accadeva in passato: in quel periodo storico che va dal ‘700 ai primi del ‘900 non era inusuale che un artista fosse tale in uno specchio tanto ampio da risultare poeta, scrittore, pittore, illustratore, compositore, musicista al tempo stesso. Ne ho scritto meglio su minima&moralia concentrandomi attorno alla figura di Tolkien, pittore dilettante e immenso scrittore: le immagini, per lui e altri, come Carroll o Buzzati, tanto per fare due esempi, non sono state mai altro dal testo. Anzi.
Questo è l’assist perfetto per considerare il secondo impatto in ambito editoriale: questi software potrebbero risultatre utilissimi in fase di mind set. Discutendo con alcuni autori e autrici, tra cui Veronica Galletta, è emersa l’esigenza di costruire mappe, schemi, schizzi dei luoghi, alle volte profili e volti, dettagli fisici dei personaggi: materiale di supporto alla fase creativa. Un’abitudine che arriva da lontano e che oggi viene preservata da chi scrive ma non solo. Non è inusuale che architetti e ingegneri finiscano per schematizzare il proprio mondo narrativo, facendosi aiutare anche da piante delle case dove si ambienta la storia, per fare un esempio. Si è sempre disegnato accanto al testo, agli appunti, sul bordo delle pagine. Per provare a visualizzare. Con un software come Midjourney si potrebbe semplificare una parte di questa trasformazione visiva e, allo stesso tempo, renderla accessibile anche ad autori che non hanno le competenze grafiche per tracciare un profilo o disegnare un volto.
Non è una speculazione, basti aver osservato i profili social di molti autori durante le prime settimane di vita di questi software, gli articoli e i dibattiti in merito. Tentativi creativi, alle volte basilari altre volte molto curati, di rappresentare passaggi dei propri romanzi, scene particolari, atmosfere delle storie. Autori che aprono i propri volumi pubblicati, copiano alcuni periodi e lasciano lavorare la macchina postando poi il risultato con didascalie del tipo questo è come appare il mio libro, questi i colori della mia storia, questo l’aspetto del protagonista. Decine e decine di post. Non potete non averli notati. Qui, per dare un’idea delle possibilità di utilizzo e sulla diversa declinazione creativa e immaginifica, citiamo tre casi diversi e complementari: quello di Vanni Santoni che ha creato, anche per La Lettura (Corriere della Sera, 28 agosto 2022), i ritratti di Anna Karenina ed Emma Bovary, quello di Andrea Donaera che ha illustrato Dante e Beatrice, una poesia di Montale e una propria e, infine, Giuseppe Nibali che ha rappresentato alcune scene del suo romanzo d’esordio. Sono tre esempi diversi, anche nello stile e nelle atmosfere, ma che danno un’idea generale complessiva: si possono vedere i personaggi dei testi altrui, si possono illustrare poesie ma anche romanzi, propri o di altri. Tutto diventa immagine purché ci sia la parola.
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