Sei artisti diversi, sei modi di interpretare la Pittura, sei modi per ribadire che la pittura non sarà e non potrà mai essere una lingua morta. O, almeno, finché anche un solo pittore avrà a disposizione un pennello e dei colori.
Negli anni Sessanta e Settanta, con l’affermarsi dell’arte concettuale prima e dell’Arte Povera successivamente, la pittura ebbe una battuta d’arresto. Tanto che critici d’arte e curatori, come accade periodicamente, cominciarono a porsi il quesito “Pittura lingua morta?”.
Questo fino a quando alcuni artisti decisero di porre la propria attenzione sull’atto stesso del dipingere in ogni sua componente: colore, telaio, supporto, materia, superficie, luce, ecc. assumendo quasi un atteggiamento da psicoanalisti della pittura. Un gruppo di artisti di varie provenienze e generazioni che venne poi riunito per una comunione di ricerche da alcuni critici, come Filiberto Menna, sotto il nome di “Pittura Analitica” o “Pittura Pittura”.

La ripetizione della parola pittura non nasce dalla paura che uno spettatore sbadato possa essere tratto in inganno dalla visione delle loro opere, ma dalla volontà che emerge fortemente da ogni tela dei vari artisti di omaggiare l’atto stesso del dipingere: un atto di piacere.
Il milanese Rodolfo Aricò, per esempio, rompe la classica forma rettangolare del telaio allungandola, stirandola, ruotandola o aggiungendovi lati. Rompendone i confini fa deflagrare le sue tele monocrome, che vanno alla conquista delle pareti dello spazio che le ospita come delle architetture. La sua “Composizione” del 1972, un acrilico su cartoncino, con le parti in rilievo e le tinte viola e blu che si fondono, sembra proprio aprire una finestra su un cielo stellato. La sua “Anomalia n.3” del 1969/70, un acrilico su tela applicata su pannello sagomato, con le sue parti in blu e verde che si compenetrano, crea un’illusione ottica in cui pieni e vuoti si alternano in una vibrazione continua. Un vero inganno per l’occhio.

Se si osservano invece le opere del fiorentino Riccardo Guarneri, come “Ritmi in rosa” del 1977, da una superficie bianca sembrano emergere le componenti dello spettro visibile in tutte le sue tonalità. L’artista ha la capacità di rendere ancora più luminoso e accecante il bianco usato proprio grazie all’accostamento di tenui velature di rosso, viola, gialli, azzurri, un’operazione che, come per il movimento ottocentesco del pointillisme, ha lo scopo di riprodurre a livello pittorico la luce quasi nella sua stessa fisicità.

L’articolo completo sul Blog di Finarte Casa d’Aste.
Senza titolo, Giorgio Griffa (1972),
lotto 94, stima euro 1.000 – 1.500
Asta Arte Moderna e contemporanea Finarte Casa d’Aste, 15 aprile 2021