fbpx

Parliamo dell’Istituzione nata nel cuore di Firenze oltre 400 anni fa con il nobile intento di selezionare la parte buona della lingua italiana, come fa il setaccio della farina con la crusca

“Il più bèl fiór ne còglie”, è questo il motto della più antica Istituzione preposta allo studio della lingua italiana, l’Accademia della Crusca, con sede nella medicea Villa di Castello, poco fuori il centro storico di Firenze. Stabilito nella seduta del 14 marzo 1590, il motto adatta un emistichio del Petrarca «e ’l più bel fior ne colse», tratto dal Canzoniere e nello stemma è sovrapposto alla figura dello strumento del Frullone o buratto, con allusione ai compiti dell’Accademia di vagliare e proporre nella lingua italiana la parte più pura, il fior fiore della farina, che andava così divisa da quella mediocre e di scarto, la crusca appunto.

Ingresso Accademia della Crusca. Ph. courtesy Francesca Manfredini

L’Istituzione affonda le sue radici tra il 1570 ed il 1580, quando un gruppo di Fiorentini dotti iniziò a riunirsi per trattare temi di Letteratura e di Linguistica in incontri conviviali e scherzosi, le “cruscate”, in evidente opposizione alle attività perseguite dall’Accademia fiorentina degli Umidi. La “Brigata dei Crusconi” era composta da Giovan Battista Deti, Anton Francesco Grazzini, Bernardo Canigiani, Bernardo Zanchini, Bastiano de’ Rossi e, dal 1582, dall’insigne filologo e teorico della lingua Lionardo Salviati. Attualmente formata da circa 60 Accademici, nel corso dei secoli la Crusca ha accolto oltre 1.200 membri italiani e stranieri, tra i quali Galileo, Voltaire, il Granduca di Toscana Pietro Leopoldo, Manzoni, Leopardi, D’Annunzio, che hanno perseguito l’attività principale di lessicografia e redazione del Vocabolario, pubblicato dal 1612 al 1923.

La Crusca vanta il primato storico di essere la prima accademia linguistica del mondo al punto che nel 1636 venne assunta come modello anche dal cardinale Richelieu per fondare l’Académie Française. L’obiettivo primario è l’indagine e lo studio dei cambiamenti della lingua italiana così da comprenderne le trasformazioni, le motivazioni e le influenze che fanno del linguaggio un organismo vivo ed in continua evoluzione.

Panoramica Sala delle Pale. Ph. courtesy Francesca Manfredini 

La visita all’Accademia inizia dal complesso nel quale si trova la sua Sede, la Villa Medicea nella zona collinare di Castello, appartenuta a Lorenzo e Giovanni di Pierfrancesco de’ Medici, che la ampliarono ed arricchirono di opere d’arte, tra cui La Primavera e La Nascita di Venere, commissionate al Botticelli proprio per decorare i saloni della Villa. Secondo uno stile architettonico tipicamente rinascimentale, il cortile centrale a pianta rettangolare fa da perno ai corpi di fabbrica circostanti, che accolgono saloni affrescati ed ambienti di rappresentanza, il più celebre dei quali è la Sala delle Pale.

Quest’ultima prende il nome dai 154 dipinti a forma di pala da fornaio ordinatamente appesi alle parete. Seguendo una consuetudine diffusa tra le Accademie del Cinque e Seicento, i Cruscanti avevano scelto un ambito semantico al quale tutti gli aspetti esteriori della loro Istituzione avrebbero fatto riferimento: ogni oggetto doveva avere attinenza “a materia di crusca”, cioè alla coltivazione del grano e alla lavorazione dei suoi derivati. Al medesimo tema doveva fare riferimento anche il nome accademico che ogni nuovo membro si sceglieva. Insieme ad un’immagine e ad un motto, il nome costituiva l’impresa che, dipinta su una pala da mugnaio, precisava l’ “intenzione” e l’attitudine dell’accademico rispetto al progetto complessivo dell’Accademia. Molti motti furono così tratti dalla Divina Commedia, dal Canzoniere di Petrarca e dalle opere di Giovanni della Casa, Torquato Tasso e Ludovico Ariosto. Separata dal contesto originale, l’espressione scelta acquisiva così un nuovo significato, in relazione concettuale con la componente iconica raffigurata. Ciascuna pala è accompagnata da un disegno descrittivo contenuto nel Manoscritto “Raccolta d’imprese degli Accademici della Crusca. MDCLXXXIV”, conservato nella Biblioteca dell’Accademia e dal Manoscritto strozziano della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze.

Pala Imperfetto. Ph. Courtesy Francesca Manfredini

L’ingresso all’interno del Sala delle Pale rappresenta un’esperienza unica, soprattutto se si ha l’occasione di essere guidati nella spiegazione analitica di alcune delle pale lignee divenute celebri sia per l’appartenenza ad Accademici di calibro, sia per la scelta dell’immagine e del motto rappresentativo. Tra le più note – ed antiche – ve ne sono numerose che sono state peraltro oggetto di un’interessante esposizione allestita nel 2021, in seno alle celebrazioni per il settecentenario della morte di Dante. Tra queste, vi è quella dedicata a Orazio Ricasoli Rucellai, detto l’“Imperfetto”, Accademico dall’Agosto del 1626. Dall’oscurità che riveste la pala, emerge in prospettiva un piccolo blocco di fogli di carta, dai quali si rivela un disegno a matita raffigurante un busto in torsione di stampo classico e che viene cancellato e corretto grazie all’utilizzo di un pezzo di mollica di pane.

Il motto, “per ammenda”, è tratto dal canto XX del Purgatorio, dove il re di Francia Ugo Capeto, punito per avarizia, narra le vicende che portarono alla decadenza della famiglia capetingia, a compensazione del male operato.

Pala Lacero. Ph. courtesy Francesca Manfredini 

Di grande interesse anche la pala dedicata al cardinale e patriarca Volunnio Bandinelli, che fu accademico dal Settembre del 1650, denominato “Il Lacero”. Il motto scelto, “Ripiglierà suo pregio e sua figura”, tratto dal canto VI dell’Inferno, dove si narrano le condanne subite nel girone dei Golosi, ben rappresenta il messaggio trasmesso dall’immagine raffigurata, un libro con alcune carte interne stracciate e restaurate grazie all’utilizzo della colla, ottenuta dalla lavorazione della farina.

Per l’attenzione riservata alla decorazione e ai dettagli, le pale sono tuttora oggetto di analisi ed approfondimenti circa gli usi e i costumi delle epoche in cui furono commissionate e realizzate. Come nella pala di Simone Berti, lo “Smunto”, dove si vede raffigurata una botte interamente rivestita di paglia e ricolma di frumento, da cui tenta di uscire una volpe che vi si era affacciata poco prima e che, ormai sazia e a ventre pieno, “deve tornare magra perché magra era entrata in quella fessura”, come narrato in un apologo di Orazio. Oppure quella dell’ “Abbellito”, l’Accademico Jacopo Giraldi, dove si osserva la pratica di ripulire una collana d’oro inserendola in un piatto di crusca. Vi è inoltre quella commissionata da un membro della celebre Famiglia Antinori, Bastiano, detto il “Grattugiato”, con evidente riferimento al soggetto principale raffigurato nella pala a lui dedicata: una grattugia sulla quale viene rappresentato un pezzo di pane che, seppur secco, grazie all’ausilio dello strumento, viene ridotto in briciole ed utilizzato per impanare, assecondando dunque le “avversità” citate nel motto scelto.

La Pala del “Grattugiato”. Ph. courtesy Francesca Manfredini  

La tradizione delle pale è stata poi proseguita con passione e dedizione anche da molti degli Accademici più recenti, ai quali è dedicata una sala a parte. Sulla parete si possono ammirare le opere più recenti, dense di simboli e riferimenti, come quella fatta realizzare da Claudio Marazzini, attuale presidente in carica. La pala raffigura una delle più belle e celebri montagne piemontesi, il Monviso, coperto di neve, con la campagna ai suoi piedi fiorente di spighe, segno dell’abbondanza e del beneficio delle fredde nevi montane. Ogni piemontese lo ama, ne percorre i sentieri, sa che di lì nasce il Po, il fiume che bagna Torino. Tra i campi di grano e la neve, sfreccia un treno rosso: senza l’alta velocità sarebbe infatti stato impossibile il continuo movimento pendolare tra la sua città e la Crusca fiorentina. Il treno è stato il tramite necessario tra la Toscana, fiorente del grano di Crusca, e le terre boreali, come disse Dante nel De vulgari eloquentia. Il motto, “Sotto la neve pane”, è la prima parte di un noto proverbio popolare toscano (“Sotto la neve pane, sotto la pioggia fame”), registrato anche nel Vocabolario della Crusca, fin dalla sua prima edizione.

Pala il più bel fiore ne coglie. Ph. courtesy Francesca Manfredini

Vi è poi la pala “Ariosa” con l’inconfondibile skyline di Milano sullo sfondo e quella “Chiara”, realizzata personalmente da Paola Manni nel 2020, l’anno della pandemia, e raffigurante le acque che scendono in cascata da un orizzonte luminoso e che si raccolgono in basso limpide e trasparenti, ma non inerti, dal momento che danno forza motrice alla grande ruota di un mulino a pale che macina il grano.

Vi è infine la simpatica pala realizzata dal nonno del bambino divenuto celebre nel 2016 per aver coniato in un tema l’aggettivo “petaloso”, poi riconosciuto corretto dalla stessa Crusca. La pala di legno, dipinta con la partecipazione di tutta la classe, presenta le caratteristiche tipiche di tutte le altre: vi si legge un verso dell’Ariosto, «Vola, come falcon c’ha seco il vento», affinché il termine spicchi e viaggi come un falco al vento.

 

 

In evidenza
La Sala delle Pale dell’Accademia della Crusca. Ph. courtesy Francesca Manfredini 



Artness
Se questo articolo ti è piaciuto o lo hai ritenuto interessante,
iscriviti alla nostra newsletter gratuita!

Rimani aggiornato con le tendenze del mercato dell’arte italiano e internazionale

ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER
Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Related Posts




Artness è un progetto di Thetis SRL
Ufficio operativo: Via Oliveti, 110 Centro Direzionale Olidor 54100 Massa (MS) Tel. +39 0585 091214 P.IVA 01020100457
Sede commerciale: Via Mengoni, 4 20121 Milano (MI) Tel. +39 02 40741330
E-mail: info@artness.it


Privacy Policy | Cookie Policy