L’Arte Contemporanea è tanto affascinante quanto fitta di misteri e di quesiti ai quali non è sempre facile dare risposta. Questo perché i confini del concetto stesso di arte si sono ampliati ed evoluti nel corso del tempo e delle varie culture, così come la concezione tradizionale di arte in quanto rappresentazione realistica del mondo che ci circonda e dell’uomo che vi abita è stata superata. Ai dipinti di paesaggi e ai ritratti di persone si sono così affiancate altri tipi di rappresentazioni, mentre mutano anche i tradizionali materiali con i quali queste vengono realizzate e presentate al pubblico. Ne parliamo con la Dott.ssa Cecilia Canziani (1976, Roma), curatrice e storica dell’arte, oggi docente di Fenomenologia dell’Arte Contemporanea presso l’Accademia di Belle Arti dell’Aquila e presso lo IED di Roma.
Quali sono i principali problemi per quanto riguarda l’interazione tra fruitore e opera d’arte contemporanea in relazione all’esposizione di quest’ultima?
In fondo, credo, gli stessi di ogni epoca: la sua presentazione dovrebbe essere fedele alle intenzioni dell’artista e restituire all’opera il suo statuto di verità. Che però spesso non basta alla sua decodifica perché l’arte contemporanea non è solo l’oggetto che abbiamo di fronte, ma anche la sua narrazione, le modalità in cui è stata realizzata, la sua necessità, la sua relazione con la storia dell’arte recente, ovvero tutto l’apparato interpretativo che deve essere restituito perché l’incontro con lo spettatore sia pieno e consapevole. Insomma, il suo racconto è parte dell’opera, e le maniere di renderlo esplicito sono molte, a partire dall’allestimento, dal percorso museale, dalla relazione tra opera e spazio. E poi certo, dall’apparato testuale.

Che ruolo ha il collezionista nella produzione dell’opera d’arte? Quali scelte applica, nell’acquisto, ai fini di una corretta esposizione nell’ambito della sua raccolta?
Il committente o collezionista ha sempre contribuito con i propri mezzi alla produzione: riscoprire la centralità della committenza ha per esempio permesso a Burkhardt prima e a Chastel poi di leggere correttamente il quadro della produzione artistica del quattrocento fiorentino, tanto per fare un esempio. È altrettanto vero però che oggi, in un momento in cui la committenza pubblica o istituzionale è sempre più latitante, e la tipologia di alcuni lavori richiede tempi e budget importanti, il ruolo del collezionista assume una nuova centralità. Sono frequenti le co-produzioni che vedono collaborare pubblico e privato, e altrettanto frequente l’impegno del collezionista nel sostenere progetti di artisti (che non sempre o non automaticamente entrano a far parte della propria collezione), o ancora – specialmente in Italia – la prosecuzione della tradizione di mecenatismo nella fondazione di spazi di produzione e esposizione di arte contemporanea che sono sostenuti da fondi privati, ma hanno vocazione pubblica.
Questo per specificare che sostenere una produzione e collezionare sono due cose distinte, che a volte possono poi coincidere, ma a volte no. E allo stesso tempo è vero anche che non sempre le opere che entrano in collezione sono acquisite per essere esposte permanentemente: è il caso ad esempio delle collezioni di video e film, o di opere effimere di cui si può acquisire un certificato che ne regola la riproduzione – mi viene in mente un lavoro di AVAF acquisito dal MAM di San Paolo: una festa. O un lavoro di Etienne Chambaud nella collezione di Nomas Foundation, le cui condizioni di presentazione sono regolate da un contratto che prevede che l’opera se esposta, cessa di essere un’opera, quando conservata in magazzino e perciò non esposta, ne mantiene lo statuto.

Leggi l’intervista integrale sul Blog di Colasanti Casa d’Aste.
Recif Le Plateau, Etienne Chambaud
Courtesy La Kunsthalle, Ph. Sebastien Bozon