Se per Platone l’arte era, con un’accezione sostanzialmente negativa, una mera mimesi della verità, ovvero la copia della copia dell’iperuranio, molti secoli dopo Heidegger ci racconta invece l’arte come “messa in opera della verità”, ovvero una vera e propria apertura verso l’essere, il farsi evento della verità. Abbiamo infatti un percorso storico dell’arte, sia come concetto che come pratica, che va dalla riproduzione del mondo alla rivelazione di esso, proprio come uno squarcio nella vita sensibile, un taglio, avrebbe detto Lucio Fontana, che ci lascia intravedere il mondo di “ciò che è”.
L’artista dunque ci svela il senso più intimo del mondo, trasportandoci oltre la nostra sensibilità, ma l’artista può fare di meglio, può creare un universo che prima non esisteva. Per Magritte “La realtà non è mai come la si vede: la verità è soprattutto immaginazione”, l’arte dunque può essere l’estrema forma di libertà in un mondo fatto di costrizione biologica e fisica dove l’uomo si trova schiacciato tra l’ineluttabile senso di mortalità e una irreprimibile voglia d’infinito.
È molto facile concepire la svolta tecnologica dei metaversi a cui ci stiamo affacciando come un elemento alienante in termini sociali, ma pensiamo invece a quanto l’idea di metaverso può rappresentare la libertà di vivere tutti i mondi che vogliamo, dove spostarsi non è più un problema fisico, dove il nostro aspetto non è più invariabile, dove il sole e la luna sorgono e tramontano quando vogliamo.
Morten Lasskogen è un artista danese che ha lavorato per 10 anni con la fotografia fino a che non ha iniziato a sentire l’esigenza di poter intervenire attivamente su ciò che non riusciva a controllare. Allora ha iniziato a lavorare con la tecnologia 3d e la manipolazione digitale delle immagini ed è stata la svolta: “Adesso posso letteralmente controllare il sole!” dice, ed è proprio quello che fa.
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