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Nei giorni che seguono tutti noi avremo qualche momento libero in più e quindi perché non passarlo a leggere? Ecco quindi una lista di consigli di lettura da parte di alcuni nostri autori. Insieme, ovviamente, all’augurio di buone feste.

Quest’anno vogliamo lasciare sotto l’albero tre consigli della redazione de L’Indiscreto per tutti i gusti, tre libri che tra loro non hanno niente in comune, ma proprio per questo adatti ai nostri tempi confusi. Per la quota narrativa, segnaliamo un titolo che ha fatto parlare di sé negli ultimi mesi vincendo diversi premi prestigiosi (uno per tutti il Campiello 2022). I miei stupidi intenti (Sellerio 2021), opera prima di Bernardo Zannoni, è il romanzo di formazione di una faina, un animale umano troppo umano alla scoperta di Dio, della vita, dell’amore e della morte, delle gioie e degli orrori della famiglia. Un gioco di metafore, o piuttosto un’allegoria, mai stucchevole che oscilla abilmente tra la narrazione del mondo animale della sopravvivenza e dell’istinto, e quello umano della conoscenza e della consapevolezza come condanna.

E a proposito di conoscenza, il recentissimo saggio di Angela Orlandi, La ricchezza del debito pubblico (Il Mulino 2022) promette di apportarne molta su un tema ostico e spesso distorto nel passaggio tra lo studio degli specialisti e la divulgazione al grande pubblico, quando non brandito per motivi ideologici. Docente di storia economica, Orlandi riesce con questo agile volume a riannodare i fili di un fenomeno complesso inquadrato nell’arco di quasi mille anni (dal Dodicesimo secolo ai giorni nostri), trattandolo in modo sorprendentemente chiaro e piacevole, ma sempre rigoroso. Oltre alla ricostruzione delle forme di indebitamento degli stati, che rapidamente assunsero caratteristiche simili a quelle del mondo attuale, ne viene discussa l’utilità e la nocività, riprendendo i concetti di Mario Draghi di debito buono e debito cattivo.

Per finire, un po’ di jazz. Non tutti sanno, o almeno non lo sapevano quando uscì in Italia nel 1963 col titolo Il mondo del jazz, che dietro lo pseudonimo dell’autore della Storia sociale del jazz (titolo con cui fu ristampato nel 1982) Francis Newton si nascondeva nientemeno che Eric J. Hobsbawm, uno dei più importanti storici del Novecento (sì, quello de Il secolo breve o de Il trionfo della borghesia). Dal 1955 al 1965 il buon professore aveva infatti tenuto sotto mentite spoglie una rubrica mensile per il New Statesman sul jazz, musica che amava da quando l’aveva scoperta da ragazzo nel 1933 (“l’anno in cui Adolf Hitler prese il potere in Germania”). Passione più deformazione professionale lo portarono quindi nel 1959 alla scrittura di una storia critica, The jazz scene, che dopo inevitabili vicissitudini editoriali è oggi rintracciabile nelle librerie nostrane grazie a Mimesis (2020), in una versione arricchita dalla prefazione di Massimo Donà.

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