In occasione dell’inaugurazione della nuova sede della Libreria Antiquaria Gonnelli di Firenze viene presentata al pubblico una scelta di opere eseguite da Benvenuto Disertori (Trento 1887-Milano 1969) e dalla moglie Regina Philippona Disertori (Amsterdam 1886-Milano 1977), in anteprima alla corposa sezione a loro dedicata che sarà offerta nel prossimo catalogo di grafica di Gonnelli Casa d’Aste, la cui messa all’incanto è prevista nel prossimo mese di giugno.
Le opere, provenienti dagli Eredi Disertori, documentano in modo esaustivo la produzione incisoria di Benvenuto Disertori unitamente a un nucleo di acqueforti e disegni inediti della consorte di origini olandesi, artista meno conosciuta, ma degna di vivo interesse e riscoperta anche in seguito alla donazione al Museo Civico di Rovereto, avvenuta nel 2008 grazie alla generosità del figlio Andrea Disertori a garanzia di futura memoria.
Nativo di Trento, Benvenuto Disertori si formò nell’atmosfera simbolista e decadente della città natale particolarmente sensibile alle influenze artistiche delle confinanti secessioni mitteleuropee. Già nel 1904 era secondo violino nell’orchestra della Società Filarmonica di Trento e fin da giovanissimo si applicò ai multiformi campi dell’illustrazione xilografica, della poesia, della critica d’arte, della musica. Compì i primi studi tra Venezia, Monaco di Baviera e Vienna, inizialmente ancora ondivaghi tra diverse discipline, in particolare letteratura e arte.
Nei primi anni Dieci lo troviamo coinvolto nel risveglio della xilografia portato avanti dalla rivista spezzina “L’Eroica”: nelle sue prime incisioni su legno si percepiscono riflessi di respiro internazionale che vanno dal linearismo decorativo e arabescato ancora di ascendenza Liberty e secessionista al sintetismo netto dei contrasti di aree più ampie in bianco e nero vicino alla maniera di Félix Vallotton.
Uno degli esempi più attraenti e riusciti di questa adesione alla nuova onda xilografica è rappresentato da La nicchia (1913 ca., qui esposta), un intrigante e sensuale connubio di sacro e profano rappresentato da un nudo femminile con corona e lunga collana di perle che pare quasi esemplato sulla fisicità estenuata di Ida Rubinstein, collocato su un altare come un idolo dannunziano tra fiori e candele accese. Lo stile di impronta secessionista, che coniuga armoniosamente il floreale e la geometria, decisamente affrancato dal neo michelangiolismo aulico di De Carolis e della sua scuola, riecheggia sia gli arabeschi di Aubrey Beardsley che l’erotismo morboso di Félicien.
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