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Per quanto non abbiano gli stessi obiettivi, gli approcci riduzionisti degli scienziati e degli artisti presentano interessanti analogie

Nel 1959 C.P. Snow, il fisico molecolare che in seguito divenne romanziere, affermò che la vita intellettuale occidentale è divisa fra due culture: quella scientifica, che si occupa della natura fisica dell’Universo, e quella umanistica – letteratura e arte – che si è interessata alla natura dell’esperienza umana. Avendole vissute e sperimentate entrambe, Snow era giunto alla conclusione che questa divaricazione fosse sorta perché nessuna delle due culture comprendeva le metodologie o gli obiettivi dell’altra. Per far progredire la conoscenza umana ed essere di beneficio alla società, sosteneva, scienziati e umanisti devono trovare il modo di colmare lo iato tra le loro due culture. Da allora le osservazioni di Snow, fatte nel corso della prestigiosa Robert Rede Lecture all’Università di Cambridge, hanno dato vita a un notevole dibattito su come tale divario potrebbe essere colmato.

Il nostro scopo è quello di illustrare un modo per farlo, concentrandoci su un punto comune in cui le due culture possono incontrarsi e influenzarsi a vicenda nelle neuroscienze e nell’arte contemporanea. Tanto le neuroscienze quanto l’arte astratta si pongono, in modo diretto e coinvolgente, domande e obiettivi che sono centrali per il pensiero umanistico. In questa ricerca condividono, in misura davvero sorprendente, alcune metodologie.

Mentre l’interesse umanistico degli artisti è ben noto, noi mostriamo che anche le neuroscienze cercano di rispondere alle più profonde domande sull’esistenza umana, usando come esempio lo studio dell’apprendimento e della memoria. La memoria fornisce il fondamento della nostra comprensione del mondo e del nostro senso di identità personale: noi siamo quello che siamo in buona parte grazie a ciò che impariamo e ricordiamo. La comprensione delle basi cellulari e molecolari della memoria rappresenta un passo avanti nella comprensione di sé. Inoltre, gli studi sull’apprendimento e sulla memoria rivelano che il nostro cervello ha evoluto meccanismi altamente specializzati per apprendere e per ricordare ciò che abbiamo appreso, e per tracciare sulla base di quei ricordi – la nostra esperienza – il modo in cui interagiamo con il mondo. Questi stessi meccanismi sono la chiave della nostra reazione a un’opera d’arte.

Se il processo artistico è spesso rappresentato come pura espressione della fantasia umana, noi mostriamo che gli artisti astratti spesso raggiungono i loro obiettivi ricorrendo a metodologie simili a quelle usate dagli scienziati. Gli espressionisti astratti della Scuola di New York degli anni Quaranta e Cinquanta del secolo scorso sono un esempio di un gruppo che ha sondato i limiti dell’esperienza visiva, estendendo notevolmente la definizione stessa di arte visiva.

Continua a leggere l’articolo su L’Indiscreto.



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