Fino al 27 novembre Sesto Fiorentino presenta la più vasta raccolta di opere grafiche di Alfredo Müller mai realizzate nel suo primo periodo francese (1895-1906). Prima di diventare il capofila del rinnovamento dell’acquaforte a colori nel periodo della Belle Époque parigina, forse non tutti sanno del legame del pittore livornese con la città di Firenze e, in particolare, con la storica Libreria Gonnelli. Ripercorriamo qui alcune significative vicende che legano da lunga data l’artista livornese con la nota libreria fiorentina
Una consistente mostra Alfredo Müller. Il trionfo della grafica nella Parigi della Belle Époque, a cura di Emanuele Bardazzi ed Hélène Koehl, allestita dal 16 ottobre al 27 novembre in tre sedi a Sesto Fiorentino (Centro Espositivo Antonio Berti, La Soffitta Spazio delle Arti e Rifugio Gualdo) presenta il più grande numero di incisioni di Alfredo Müller finora mai esposte, circa cento. In parallelo raccoglie altrettante opere di artisti a lui contemporanei al fine di affinare la conoscenza del contesto artistico in cui operò attivamente, durante la straordinaria e irripetibile stagione della grafica parigina tra ‘800 e ‘900.
Prima di addentrarci in questo importante evento espositivo, ripercorriamo alcune significative vicende che legano da lunga data il nome di Alfredo Müller alla Libreria Antiquaria Gonnelli, storica libreria fiorentina, presente anche nell’albo prestatori della mostra sestese.
Alfredo Müller e la Libreria Antiquaria Gonnelli
Il fil rouge che unisce l’artista alla storica libreria fiorentina ha inizio nel marzo del 1930, quando Aldo Gonnelli ospita nella Saletta Gonnelli quella che sarà, anche se non l’ultima occasione espositiva di Müller in Italia, una vera e propria mostra monografica e l’appuntamento con un pubblico di sinceri ammiratori “che risuona come una festa di addio”, come scrive Hélène Koehl nel suo catalogo ragionato della pittura edito a Strasburgo nel 2017.
Della mostra è conservato il pieghevole dell’invito con l’elenco delle opere esposte: 22 dipinti e 7 incisioni. Tra quest’ultime due raffigurano l’attrice Suzanne Desprès e con Le confidenze (Les Confidences) ci riportano all’attività dell’artista a Parigi risalente circa un trentennio prima. Evidentemente l’intenzione era di presentare l’artista sia come pittore che come incisore, senza che queste due attività si escludessero a vicenda anche se la seconda era più lontana nel tempo, quando Alfred Muller, come allora era denominato a Parigi, veniva scambiato per un artista di identità differente perfino da un acuto conoscitore come Vittorio Pica al momento in cui recensì per “Emporium” la Prima Esposizione Internazionale di Bianco e Nero del 1902 dove l’editore Sagot aveva inviato alcune sue stampe insieme ad altre di autori francesi per la sezione a loro dedicata nella mostra romana. Tra i dipinti esposti da Gonnelli figurava anche l’Autoritratto del 1905 che riportava comunque la memoria a quegli anni. Era come se si volesse chiudere un cerchio e chiarire molti malintesi.

Dal registro delle firme si ricava un parterre rilevante di artisti, critici d’arte e personalità autorevoli che visitarono l’esposizione: Gustavo Sforni, Vittorio Alinari, Mario Tinti, Raffaello Franchi, Aniceto Del Massa, Edoardo Gordigiani, Luigi Gioli, Vittorio Nomellini, Romano Romanelli, Emilio Mazzoni Zarini, Pietro Parigi e tanti altri. Del Massa recensì la mostra ne “L’Illustrazione Toscana” e ricordò i contatti importanti avuti da Müller in Francia con i maggiori protagonisti dell’arte tra ‘800 e ‘900 da Degas e Renoir a Cézanne di cui fu tra i primi a capire il talento allora incompreso dai più, fino al grande mercante Vollard che per primo nel 1898 organizzò una personale al giovane emigrato nella sua galleria di Rue Laffitte.
Ma il sempre più opprimente nazionalismo anche legislativo del regime fascista avrebbe fatto sì che Müller, a causa della sua nazionalità francese acquisita nel 1910, venisse presto esautorato di ogni ruolo ed emarginato dall’ufficialità. Quindi, a causa di questo clima divenuto ostile e preoccupante, nel 1932 l’artista e la moglie Marguerite decisero a malincuore di lasciare la casa di Settignano e di fare ritorno in Francia.
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